Quegli sguardi delle vittime che diventano accusa: “E tu dov’eri?”

"Non so perché ti odio - tentat indagine sull'omofobia"

"Non so perché ti odio - tentat indagine sull'omofobia"A un certo punto gli occhi ti puntano dritto, ti osservano, ti scrutano. Fin dentro i tuoi. È come se i protagonisti delle storie di cui vieni a conoscenza, cercassero dentro te le ragioni per quella follia, quotidiana e collettiva, che è l’omofobia. Come se ci interrogassero, quasi chiedessero una ragione a chi ne sta fuori. O almeno la sensazione è quella. E comincia così, fin dal primo fotogramma, una narrazione multipla fatta di violenze piccole e grandi, di aggressioni, di discriminazioni per strada, sul luogo di lavoro, in famiglia.

È questa la grammatica della narrazione di Filippo Soldi e del suo documentario Non so perché ti odio – Tentata indagine sull’omofobia e i suoi motivi. Una cifra stilistica che fa parlare le vittime di una subcultura fatta sostanzialmente di ignoranza, pregiudizio ideologico, di quella scarsa volontà di conoscere la ragione delle cose (doveva essere questo il titolo originario del film) e le pone in giustapposizione con chi, quella violenza, l’ha prodotta o in un certo qual modo ne ha la responsabilità morale.

E allora ti trovi di fronte il volto di Martina, siciliana, ventenne. Capo scout, amica e parente di persone LGBT. Eterosessuale. Eppure ai suoi superiori e al vescovo della sua comunità, la sua vicinanza e militanza alle tematiche della questione omosessuale non vanno giù. O lasci la politica o te ne vai dal nostro gruppo. Questa è la violenza a cui è sottoposta. Alla quale non si piega. E anche il suo sguardo diventa un’accusa. Ti interroga, senza nemmeno dirlo. Ti chiede dov’eri, quando tutto questo succedeva.

"Non so perché ti odio - tentat indagine sull'omofobia"E poi c’è la violenza più visibile, quella che indigna, perché apre ferite corporali e vedi il sangue, la carne lacerata, il cervello delle vittime spappolato sul cruscotto di una macchina. Gente che è stata avvicinata con una scusa e che è stata massacrata di botte. Persone scambiate per omosessuali e uccise per questo. E quel sangue grida a sua volta di fronte la responsabilità di chiunque alza le spalle di fronte a certi abusi, come se la cosa non ci riguardasse, tutti e tutte. Come se non fosse affare di ognuno di noi, quando ogni volta in nome di un’idea impazzita si nega l’umanità di qualcuno, fino a distruggerla interamente.

E accanto i racconti delle vittime, ci sono le motivazioni di chi ha ucciso. Racconti tesi, tremolanti. Parole impastate alle lacrime a volte. Perché l’omofobia non fa fuori solo chi è gay, ma anche chi consuma la sua vita in galera, per un delitto di tale matrice. Per un senso dell’onore che non vede più la persona, ma solo la riprovazione sociale.

E ci sono, ancora, le “ragioni” di chi va a leggere libri per le piazze, in silenzio, per protestare contro qualsiasi tentativo da parte dello Stato di invertire quei processi che ancora oggi, nel 2014, giustificano violenze verbali e fisiche, sguardi di riprovazione e ammiccamenti odiosi verso chi viene ritenuto non solo come “diverso”, ma sbagliato perché tale. In nome di ideologie politico-religiose che, anch’esse, perdono di vista l’essere umano e lo sacrificano all’altare del loro integralismo.

"Non so perché ti odio - tentat indagine sull'omofobia"Tutto questo è Non so perché ti odio. Una parete bianca, due occhi che si conficcano da qualche parte dentro l’anima, una storia da raccontare e che si attacca alle ossa come una mattina gelida e grigia di un inverno lunghissimo. Un film importante, un’analisi lucida e senza sconti verso un sentimento d’odio collettivo che ancora oggi è spacciato per libertà di pensiero ma che esige un tributo in termini di vite umane che è ormai largamente insostenibile. Almeno nei paesi che vogliono dirsi del tutto civili.

E se volete capire fino in fondo, chi si trova a Roma può recarsi giovedì 4 dicembre, alle 20:00 presso il cinema Aquila. Per guardare in faccia il volto del mostro, che passa attraverso gli occhi di chi, nonostante tutto, ce l’ha fatta e non ha problemi a dirlo. Guardandoti in faccia. Senza alcuna concessione, senza parole di troppo.

Condividi con i tuoi amici

Leggi Anche

Commenta l'articolo

2 commenti

  1. Tutto questo mi dispiace, ma è colpa dei gay benpensanti che dicono di voler vincere senza violenza; io sono violento per natura; da piccolo promettevo botte a chi mi derideva e… sempre le botte arrivavano facendo molto male., Ho avuto delle denunce e molte botte da mio padre, ma NON ho risparmiato nessuno.
    Alla fine ho vinto!!! Avevano paura di guardare i miei occhi ed evitavano di attraversarmi la strada. Ho sempre preso le difese dei più deboli ed ho difeso molte volte ragazzi omo con il solo presentarmi sulla scena. Se tutti i gay cominciassero ad essere violenti ed a fare squadra, in poco tempo si avrebbero tutti i diritti. IN ITALIA SE NON FAI SCORRE IL SANGUE NON VIENI CALCOLATO.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *